Organismi Geneticamente Modificati


Cosa sono, quali rischi comportano, a chi giovano, cosa dice la legge
febbraio 2001

A cura di Manuela Panzacchi

Introduzione
Abstract
Indice del dossier


INTRODUZIONE

Dopo la rivoluzione industriale del XVIII secolo e la rivoluzione fisico-chimica dei secoli XIX e XX, ci apprestiamo a vivere (o meglio: stiamo già vivendo, pur senza esserne pienamente consapevoli) la rivoluzione delle biotecnologie avanzate.

Secondo il significato letterale del termine, sono biotecnologie tutte quelle tecnologie che comportano l'uso di esseri viventi per la produzione. In senso lato, dunque, tutti i metodi inventati ed utilizzati dall'uomo per ricavare nutrimento o altri beni da materia vivente, dall'inizio dell'agricoltura circa 10.000 anni fa, possono essere a buon diritto considerati biotecnologie. Ad ancora miglior diritto sono biotecnologie tutte quelle pratiche che hanno comportato la scelta e/o la modificazione di organismi, animali o vegetali, per renderli adatti a produzioni specifiche (per esempio, addomesticazione di animali e piante, fermentazioni naturali). Per moltissimo tempo, però, tali pratiche si sono basate solo su nozioni empiriche, prive di basi sperimentali.

A partire dai primi del '900, con la scoperta delle leggi dell'ereditarietà (Mendel), la capacità degli esseri umani di modellare piante ed animali è aumentata notevolmente, pur mantenendosi nei termini di una "forzatura" dei normali processi evolutivi. In seguito, con l'aumentare delle conoscenze sulla genetica, è cresciuta di pari passo anche la capacità dell'uomo di agire direttamente sui meccanismi che sono alla base della vita. Un passo fondamentale in questa direzione è stato compiuto tra gli anni '40 e gli anni '50, quando si è scoperto che le informazioni necessarie alla costruzione ed al funzionamento di un qualsiasi organismo vivente sono portate dai suoi geni, formati da una grossa molecola a doppia elica chiamata Dna (Watson e Crick, 1953).

La grande svolta si ebbe quando divenne possibile agire direttamente sul Dna: manipolandolo come per formare nuove parole dal rimescolamento delle lettere dell'alfabeto. L'inizio di questa vera rivoluzione risale al 1973: fu allora che i due biologi americani Stanley Cohen e Herbert Boyer scoprirono gli enzimi di restrizione (forbici naturali in grado di tagliare il Dna in punti specifici), dando così il via alle numerose applicazioni della tecnologia del Dna-ricombinante. Una "impresa" scientifica che da alcuni è stata paragonata per importanza alla scoperta del fuoco.

Le applicazioni dell'ingegneria genetica si sono rivelate utilissime in vari settori, prima di tutto nel campo medico, ma vanno selezionate con estrema cura: il rischio, infatti, è che vengano prodotti e liberati nell'ambiente organismi viventi "nuovi", che in natura non avrebbero mai potuto evolversi (si pensi alle piante modificate con geni provenienti da vegetali di specie diverse, o addirittura da animali) e che perciò l'ambiente non è preparato ad accogliere.

Per migliaia di anni gli esseri umani hanno fuso, sciolto, saldato, forgiato e bruciato materiali inerti per crearne di utili. Adesso stiamo dividendo, ricombinando, cucendo materiali viventi. Come nessun'altra tecnologia prima, l'ingegneria genetica fa compiere un salto di qualità al potere dell'uomo sulla natura, gli conferisce addirittura la possibilità di produrre nuovo materiale vivente.

Insomma, abbiamo tra le mani uno strumento di formidabile potenza. Sta a tutti noi dimostrarci all'altezza della sfida, usarlo per risolvere problemi che sembravano insolubili o invece per crearne di ancora più gravi.

ABSTRACT

I primi Organismi geneticamente modificati (Ogm) sono stati dei batteri prodotti alla fine degli anni '70. Pochi anni dopo, nel 1983, vennero ottenuti il primo vegetale (una pianta di tabacco modificata mediante il batterio Agrobacterium tumefaciens) ed il primo animale transgenico (il "supertopo", prodotto inserendo nel topo i geni responsabili della sintesi degli ormoni umani della crescita).

In quegli stessi anni, per la prima volta nella storia, l'uomo ha rivendicato il "diritto di proprietà intellettuale" su un essere vivente - geneticamente modificato - per avere contribuito a "produrlo". Ha così avuto origine il primo "brevetto biotecnologico", attribuito nel 1980 ad un batterio (Pseudomonas) manipolato in modo da acquisire la capacità di degradare le macchie di petrolio scaricato in mare.

Da quel momento in poi, le multinazionali di tutto il mondo ed i più importanti laboratori di ricerca si sono buttati a capofitto nello studio del trasferimento di geni (transgenetica), andando a caccia di geni, procedimenti, ed organismi viventi brevettabili che garantissero loro guadagni da capogiro.

Il detentore di un brevetto biotecnologico, infatti, usufruisce del "diritto esclusivo di godimento e sfruttamento" del materiale vivente in questione, che in base alla Direttiva europea vigente (Dir. 98/44) può essere rappresentato da "interi organismi geneticamente modificati sia animali che vegetali, parti e geni di qualunque essere vivente, uomo compreso". Il diritto di proprietà inoltre non ha valore solo sul vivente in questione, ma si estende anche a "tutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione". Ciò significa che se viene brevettato un gene, che verrà poi immesso in una pianta, per 20 anni tutte le generazioni derivate da quella pianta, tutti i prodotti di quella pianta, tutti i procedimenti utilizzati per la sua produzione, e tutti gli alimenti che la conterranno, saranno coperti da brevetto. E' perciò evidente la ragione che ha spinto le multinazionali ad investire tanto danaro nel settore biotech, e a tentare di imporre con tanta forza gli Ogm sul mercato mondiale. Possedendo un brevetto biotecnologico, infatti, si può monopolizzare un'intera filiera produttiva: dal gene, al seme, ai fertilizzanti, ai pesticidi, fino al prodotto finito in vendita sui banchi dei supermercati.

I primi vegetali transgenici sono stati immessi sul mercato americano intorno alla metà degli anni '90, e in base al "principio della sostanziale equivalenza" tra Ogm e prodotti naturali nel 1996 hanno fatto il loro ingresso ufficiale anche sul mercato europeo. Secondo tale principio - che non ha alcuna validità scientifica - solo se gli alimenti transgenici mostrassero sostanziali differenze rispetto ai prodotti naturali potrebbe essere opportuno richiedere test biochimici e tossicologici prima dell'immissione in commercio. Ciò significa che i prodotti transgenici presenti dal 1996 sulle nostre tavole non sono mai stati sottoposti a test che ne provassero l'innocuità, né sono stati contraddistinti da un'etichetta che permettesse al consumatore di riconoscerli e di decidere se acquistarli o meno.

Così, soia e mais transgenici si ritrovano come meterie prime o additivi nel pane, nelle cioccolate, nei biscotti, nei pop-corn, negli olii, nei sottoli, nelle salse, negli insaccati. Si stima che gli Ogm siano presenti nel 60% di tutti i prodotti alimentari in vendita in Europa, e in gran parte dei mangimi utilizzati nell'alimentazione degli animali da allevamento.

Mentre negli Stati Uniti i prodotti transgenici sono stati accettati dall'opinione pubblica senza troppi problemi, in Europa essi incontrano una fortissima resistenza nei consumatori. Per questo l'Unione Europea ha assunto nei riguardi degli Ogm un atteggiamento più cauto e previdente, appellandosi al "principio di precauzione", e ha imposto l'etichettatura degli alimenti contenenti Ogm quando la loro percentuale nel prodotto finito superi l'1% per ogni singolo ingrediente. Sta inoltre per essere istituita l'Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea, che avrà il ruolo di supervisore in materia di sicurezza alimentare e fornirà pareri scientifici anche sui nuovi cibi transgenici. L'atteggiamento assunto dalla Comunità Europea, in netto contrasto con le posizioni americane, trova un ostacolo formidabile nei trattati sul libero commercio internazionale, in virtù dei quali siamo costretti ad importare Ogm da tutti i Paesi, Stati Uniti in testa, che non prevedano alcuna etichettatura.

La posizione europea guarda con particolare preoccupazione ai rischi ambientali e sanitari legati alla diffusione degli Ogm in agricoltura. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, oggi "non esistono prove scientifiche che possano far luce sugli effetti a lungo termine degli Ogm in agricoltura, e quindi nell'alimentazione". Tra gli effetti temuti sulla salute umana, un aumento delle allergie nei consumatori, una riduzione della sensibilità agli antibiotici, l'ingestione di maggiori quantità di pesticidi, mentre l'ambiente potrebbe pagare un prezzo salatissimo in termini di inquinamento genetico di specie naturali, di trasmissione della resistenza ai pesticidi ad erbe infestanti, di evoluzione di parassiti più resistenti, di permanenza di tossine nel terreno, di aumento dell'uso di erbicidi, di scomparsa di alcune specie di insetti, di riduzione della biodiversità.

Inoltre, vanno considerate le conseguenze sociali: l'avanzata dell'agricoltura biotech renderebbe i Paesi poveri sempre più dipendenti da quelli industrializzati, proprietari dei brevetti, e finirebbe per trasformare gli agricoltori in braccianti al servizio delle multinazionali.

Se però l'Unione Europea è molto più scettica degli Stati Uniti sugli Ogm, le ragioni non derivano soltanto da una maggiore sensibilità sociale o ambientale. In realtà, resistendo al biotech l'Europa non fa altro che difendere i propri interessi economici. La coltivazione di Ogm infatti è economicamente conveniente solo - e non sempre - negli immensi latifondi americani, in un modello di produzione agricola tutto orientato alla quantità. I Paesi europei sono invece alle prese con problemi ricorrenti di eccedenze alimentari, e soprattutto devono tutelare un modello agricolo caratterizzato dalla presenza di produzioni fortemente legate al territorio e alla tipicità di tradizioni e culture locali.

Per l'Italia, ancora di più che per il resto d'Europa, difendere l'agricoltura tipica e di qualità dall'invasione degli Ogm è l'unica scelta sensata in termini sia di sicurezza sanitaria ed ambientale, sia di prospettive economiche.

Tutto ciò non significa che le biotecnologie avanzate vanno condannate in toto. Al contrario, vi sono alcuni nuovi filoni di ricerca genetica che, senza incrociare il Dna di specie diverse, ma cercando di modulare finemente le vie metaboliche per esaltare alcune proprietà naturali dei vegetali, vanno accolte con favore. Queste tecniche potrebbero affiancare quelle tradizionali di miglioramento varietale, e consentirebbero di ottenere un miglioramento del prodotto senza però provocare squilibri ecologici e rischi per la salute.

Un altro settore nel quale andrebbe potenziata la ricerca biotecnologica è quello dei microrganismi. Vi sono infatti batteri che, senza essere geneticamente modificati, assolvono a funzioni di estrema utilità sia per l'uomo che per l'ambiente, quali la fissazione dell'azoto, la bonifica dell'ambiente, la degradazione dei rifiuti urbani.

Insomma, non si tratta di mettere in discussione la scienza, ma di avere una scienza responsabile, una scienza che si ponga come obiettivo la soluzione dei problemi e il soddisfacimento dei bisogni dell'umanità più che la rincorsa a scoperte tanto sensazionali quanto pericolose.

INDICE DEL DOSSIER

Introduzione
1. Alcune tappe nella storia delle biotecnologie avanzate
2. I metodi
3. I prodotti della transgenetica
4. I rischi per la salute, l'ambiente, la società
5. Le cause dell'insuccesso della ricerca sul trasferimento di geni
6. Il futuro della ricerca genetica nel settore agro-alimentare
7. La situazione attuale
8. Il dibattito internazionale sull'etichettatura
9. Autocertificazioni e controllo di filiera
10. Controlli sugli Ogm
11. Monitoraggio degli effetti del rilascio di Ogm
12. Brevetti sulla vita
Glossario
Bibliografia

Il dossier completo è disponibile presso i Centri di Documentazione di Roma, Bologna e Verona