VERSO IL G8 DI GENOVA

UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE
IL FUTURO DEL PIANETA E DELL'UMANITA'
NON PUO' ESSERE AFFIDATO ALLE DECISIONI
DI POCHI PRIVILEGIATI

Un mondo diverso e' possibile. Questo e' il messaggio che Legambiente, insieme ai gruppi e alle associazioni del "Genoa Social Forum" che manifesteranno il 21 Luglio a Genova in occasione del G8, lancera' ai capi di stato e di governo dei Paesi ricchi. Un mondo diveros e' possibile, ma per costruirlo serve l'impegno e la partecipazione dei cittadini, serve un governo democratico dei processi globali che superi l'attuale gestione oligarchica di organismi del tutto privi di investitura democratica, come il WTO, o comunque rappresentativi solo di una piccola minoranza dell'umanita', come appunto il G8.

Santificata da alcuni e demonizzata da altri, la cosidetta globalizzazione e' stata oggetto in questi anni di discussioni e contrapposizioni appassionate. Per noi i processi di globalizzazione sono fenomeni complessi e tutt'altro che univoci, che comportano il rischio evidente di leggittimare il mercato e le logiche del profitto come categorie ideologiche e di ridurre le relazioni umane ad una dimensione esclusivamente monetaria, ma permettono pure una piu' facile e ricca circolazione delle informazioni e delle idee.

Se da una parte infatti il mercato non e' di per se' portatore di benessere, e un sistema nel quale la ricerca del profitto non e' sottoposta ad alcuna regola produce effetti sociali e ambientali devastanti - dallo sfruttamento selvaggio del lavoro che riduce in schiavitu' milioni di bambini nel mondo alla distruzione di immense superfici di foreste -, dall'altra e' grazie ad un mondo sempre piu' comunicante e interdipendente se oggi questi problemi sono dovunque all'ordine del giorno e se anche nei Paesi poveri emergono con forza i temi della dignita' del lavoro e della qualita' dell'ambiente.

Cosi', se non governati, il mercato e la logica del profitto tendono a riprodurre dappertutto modelli di sviluppo che depauperano e degradano il Pianeta, ma e' in virtu' di quella che piu' volte abbiamo chiamato "buona globalizzazione" se a partire dalla Conferenza di Kyoto si e' cominciato ad affrontare con decisioni operative, sebbene insufficienti, i rischi ambientali planetari.

In ogni caso, un concetto per noi e' chiaro: la globalizzazione nella sua dimensione economico-finanziaria non e' in grado di affrontare i grandi problemi sociali, ambientali, di democrazia e di diritti, anzi minaccia di aggravarli.

Il sottosviluppo nel quale vivono miliardi di persone e' una realta' tragica e sempre piu' consolidata: se nel 1960 il 20% piu' ricco della popolazione mondiale possedeva un reddito trenta volte superiore a quello del 20% piu' povero, oggi la proporzione e' di 82 a 1, mentre tre quinti dei 4,4 miliardi di abitanti dei Paesi poveri vive in comunita' prive di infrastrutture igieniche di base, circa un terzo non dispone di acqua potabile e un terzo dei bambini e' sottonutrito e non raggiunge la quinta classe di scuola. Di tutta evidenza e' anche un'altra verita', troppo spesso trascurata: sono proprio i Paesi poveri a pagare i prezzi umani piu' alti per il degrado ambientale. Basti dire che in Asia l'inquinamento decale dei fiumi supera di cinquanta volte quello dei Paesi industrializzati, o che nelle citta' del Sud del mondo tra il 20% e il 50% dei rifiuti domestici non viene raccolto.

L'aumento dell'effetto serra, l'allargamento del buco dell'ozono, la deforestazione, la desertificazione, la perdita' di biodiversita' la crescita dei livelli di inquinamento atmosferico, marino, terrestre, colpiscono ovunque senza badare alle frontiere o alle dimensioni del PIL, alimentati da interessi e da modelli economici e stili di vita e di consumo che hanno il loro centro nel mondo industrializzato ma sono squisitamente globali.

Infine, nel mondo globalizzato di oggi vi sono valori universali come il rispetto dei diritti umani, la lotta contro la discriminazione e l'esclusione, l'esistenza di regole anche minime di democrazia, che faticano ancora molto a diventare patrimonio comune. Si tratta di questioni che riguardano anche i Paesi ricchi, basti pensare alle 500 condanne a morte eseguite dagli Stati Uniti dal 1977, ma che indiscutibilmente si concentrano nel Sud del mondo dove a miliardi di donne e uomini vengono sistematicamente negati i piu' elementari diritti civili, politici e sociali.

L'idea, nocciolo duro del pensiero unico, che le economie e le culture di ogni Paese, di ogni territorio siano condannate per sopravvivere alla omologazione, e' contraria agli interessi dell'umanita', perche' l'omologazione ai modelli socio-economici occidentali comporta prezzi sociali e ambientali insopportabili, e contraria anche all'interesse specifico dei Paesi ricchi, perche' gli squilibri e i periodici "collassi" provocati da questo modello di sviluppo "omologato" si ripercuotono pesantemente anche su di essi, esponendoli ad una continua intensificazione dei flussi migratori e al rischio di ricadute negative sul terreno economico-finanziario.

Infine, l'interesse a contrastare la falsa identita' tra globalizzazione e omologazione e a valorizzare gli elementi piu' originali di ogni singola identita' sociale, economica e culturale, e' tanto piu' forte per l'Europa e in particolare per l'Italia, che per competere nell'arena globale devono "esaltare", non certo deprimere, la differenza e il valore aggiunto rappresentati dalla grande varieta' e ricchezza di economie radicate nel territorio e da una spiccata vocazione per la coesione sociale e la qualita' ambientale.

Per affermare una prospettiva di sviluppo sostenibile che coinvolga l'intera umanita', occorre - come gia' scrivemmo negli "appunti" per il congresso del 1999 - che il futuro sia "non solo merci" ma anche migliore qualita' della vita, piu' diritti, piu' coesione sociale, piu' partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano, impegno per costruire un modello di relazioni tra i popoli fondato sulla comune appartenenza al genere umano, coscienza che chiudersi davanti ai bisogni e alle necessita' dell'altro e' non solo moralmente sbagliato ma illusorio visto che nell'attuale arena globale nessuno puo' sentirsi al riparo da tensioni e squilibri anche quando si manifestano a migliaia di chilometri di distanza.

Questo e' lo scenario in cui si tiene a Genova il vertice dei G8. Uno scenario segnato da profonde ingiustizie, con il 20% della popolazione mondiale, quella dei Paesi a capitalismo avanzato, che consuma l'83% delle risorse planetarie, con 11 milioni di bambini che muoiono ogni anno per denutrizione e 1 miliardo e 300 milioni di persone costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno.

I temi di cui il G8 discutera' a Genova sono gli stessi che vedono impegnate nel mondo centinaia di organizzazioni non governative, che con priorita' diverse ma seguendo tutte metodi pacifici, non-violenti e democratici, operano nei campi della cooperazione internazionale, della tutela ambientale, della valorizzazione dei diritti di cittadinanza, del pieno riconoscimento della dignita' del lavoro, della promozione di modelli economici etici e solidali, dello sviluppo di forme di convivenza multietniche e di scambio interculturale, dell'impegno pacifista, della lotta alle ingiustizie. A Genova porteremo questa grande ricchezza di esperienze e di sensibilita', e sarebbe grave se la risposta degli organizzatoridel vertice fosse di trasformare la citta' in una fortezza inaccessibile vietando qualsiasi manifestazione pubblica. Sarebbe grave e sarebbe, bisogna aggiungere, il modo piu' sicuro per lasciare campo libero a quanti da una parte e dall'altra preferiscono al dialogo e al confronto anche duro, lo scontro e la contrapposizione violenta.

Noi comunque non ci rassegneremo alla militarizzazione di Genova, e faremo di tutto per ottenere risposte impegnative dai leader del G8 alle nostre richieste gia' sottoscritte da migliaia di cittadini che hanno partecipato al referendum autogestito promosso da otto grandi associazioni (Legambiente, Arci, Mani Tese, Uisp, Acli, Ics, Rete di Lilliput, Tavola della Pace).

Chiediamo che sia mantenuto l'impegno a cancellare tutti i crediti verso i Paesi piu' poveri e indebitati, e che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario siano vincolate a cancellare il 100% dei loro crediti.

Chiediamo l'introduzione della "Tobin Tax", imposta sulle transazioni finanziarie di natura speculativa che consentirebbe di redistribuire in modo piu' equo il gettito fiscale tra le diverse componenti sociali, di monitorare i flussi di capitale al fine di combattere l'evasione fiscale ed il riciclaggio dei proventi dei traffici illeciti, di finanziare le politiche nazionali e globali di lotta alla poverta' e alla disoccupazione e di salvaguardia dell'ambiente.

Chiediamo la messa al bando delle armi all'uranio impoverito e la riduzione del 20% entro il 2001 delle spese militari, con l'impegno di inestire le somme risparmiate in programmi di cooperazione allo sviluppo nei Paesi del Sud del mondo.

Chiediamo che il potere di fissare le regole del commercio mondiale sia tolto al WTO, organizzazione priva di legittimita' democratica, e ritorni all'ONU.

Chiediamo un impegno formale per ratificare entro il 2002, prima della Conferenza di Johannesburg che si terra' a dieci anni esatti dall'Earth Summit di Rio de Janeiro, del Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni dei gas serra.

Chiediamo che siano poste le basi per una regolamentazione rigorosa dell'immissione nell'ambiente e in commercio degli organismi geneticamente modificati, riguardo in particolare ai rischi ambientali e sanitari e ai rischi di una perdita progressiva di biodiversita' legati alla produzione e alla commercializzazione dei cibi transgenici, nonche' al tema dei brevetti. Su quest'ultimo punto, va sottolineata la straordinaria importanza della vittoria ottenuta dal governo sudafricano nella causa contro le industrie farmaceutiche che chiedevano il apgamento di royalties elevatissime sui farmaci anti-aids: un passaggio di grande significato morale e pratico, che fa giustizia della pretesa delle multinazionali biotecnologiche di privatizzare la materia vivente.

Noi sappiamo che su molti di questi temi non vi e' unita' all'interno del G8. Con sempre maggiore chiarezza vanno anzi emergendo due visioni tendenzialmente opposte della globalizzazione e dello stesso ruolo dei grandi Paesi industrializzati: una visione ultra-liberista, che ha trovato negli ultimi mesi un autorevolissimo alfiere nel neo-presidente americano Bush e che ora sembra attrarre anche il governo italiano di centrodestra, in base alla quale i criteri della qualita' ambientale e sociale non devono entrare nelle politiche per lo sviluppo, ed una visione piu' vicina alla s ensibilita' dei Paesi europei, che pur tra incertezze e contraddizioni guarda all'ambiente, alla coesione sociale, alla valorizzazione delle identita' economiche e culturali locali, come ad ingredienti indispensabili di uno sviluppo sostenibile e desiderabile. In alcuni casi la contrapposizione e' gia' diventata esplicita, come la scelta di Bush di ritirare l'adesione degli Stati Uniti al Protocollo di Kyoto o per la posizione di cautela dell'Europa in materia di OGM, in altri e' prevalsa finora la logica dell'alleanza geopolitica tra i Paesi piu' ricchi: compito nostro, a Genova come in tutte le occasioni che seguiranno, sara' di batterci con forza e intelligenza perche' le contraddizioni, se vi sono, vengano allo scoperto e perche' i grandi della terra siano costretti a tenere conto delle ragioni dei cittadini.

© 9 Giugno 2001, Direttivo Nazionale di Legambiente